La scultura con la quale ho scelto di partecipare al concorso della Fondazione Arnaldo Pomodoro , fa parte dell’ultimo ciclo di lavori iniziati nel gennaio di questo anno. La ricerca fin qui condotta , mi ha portato a sintetizzare la massa e la forma in lamine di ferro forgiate e assemblate in modo “precario” , che danno vita a semplici elementi retti o curvilinei . Tali elementi , vengono composti in binomi e trinomi che attraverso l’azione di fili di ferro , interagiscono creando torsioni e flessioni , trazioni e spinte , atte a trovare un’ equilibrio difficile , minato dalla fragilità stessa dei cavi tensionatori , che tuttavia , a volte provocano la rottura traumatica di questi “ corpi” sofferenti. “ Verso la propria inclinazione “ , si compone di un monomio che evidenzia quest’ultima ipotesi : la scultura di forma trapezoidale , si inclina rispetto al piano d’appoggio , quasi a voler trovare un proprio equilibrio , poggiandosi su uno dei vertici . L’azione dinamica , viene contrastata da due sottili cavi che , ancorati saldamente alla base , cercano di impedirne il movimento . Due volontà diverse si scontrano e , diversamente dalle previsioni , è la parte che sembra più forte a cedere spezzandosi violentemente . L’opera fissa l’istante in cui si compie il destino dell’elemento “ ribelle” , che sfida la gravità , assumendo un’insolita , rischiosa posizione nello spazio . Il corpo è inevitabilmente piegato a una forza superiore ma la sofferenza che ne deriva non è sufficiente ad impedire la ricerca dell’unicità.

Un’esile filo di ferro nasce dalle fibre lacerate delle lamiere , e ne prosegue idealmente il percorso , anima non paga di una condizione rifiutata . Ma a ben guardare , sorge una domanda : quei cavi che tirando fortemente hanno spezzato il corpo della scultura , non sono in realtà gli stessi che , silenziosamente , la mantengono ancora lì , eretta nella sua postura spericolata , a sfidare la gravità ?